01 Apr Risarcimento per Irragionevole durata del Processo: la Legge Pinto
Quando si parla di Risarcimento per Irragionevole durata del Processo, ci si riferisce alla cd. legge Pinto, ovvero legge n. 89 del 2001, modificata in maniera consistente nel 2016.
Tale normativa nasce da un impulso di matrice europea: il principio di riparazione del danno derivante da irragionevole durata del processo è infatti dapprima contenuto nell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Processo troppo lungo? Puoi richiedere il risarcimento dei danni
La normativa italiana prevede infatti la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivati dalla lungaggine processuale. Il risarcimento può riguardare:
- danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante)
- danni non patrimoniali (danno morale, biologico ed esistenziale)
Legge Pinto: come e quando ci si può rivolgere al Giudice
Vediamo di seguito come e quando ci si può concretamente rivolgere al Giudice e quali valutazioni egli è tenuto a compiere nel riconoscere e quantificare il danno.
Dal punto di vista temporale, come espressamente disposto dal testo normativo sopra citato, non v’è ritardo se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità (dinnanzi alla Corte di Cassazione), di tre anni nei procedimenti di esecuzione forzata e sei anni per le procedure concorsuali.
Vige poi una regola generale in forza della quale il termine ragionevole si ritiene in ogni caso rispettato se il giudizio definitivo e irrevocabile giunge nel termine massimo di sei anni.
L’ambito applicativo della normativa è comunque ampio:
- controversie civili
- procedimenti penali
- procedimenti amministrativi
- procedure fallimentari
- procedimenti tributari.
In procedimenti aventi natura civilistica, a titolo esemplificativo, il termine di cui sopra decorre dal deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ovvero con la notificazione dell’atto di citazione.
Quale somma può liquidare il Giudice?
Per quanto concerne la quantificazione del danno, invece, il Giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede la durata ragionevole del processo.
La somma liquidata può essere incrementata fino al 20% per gli anni successivi al terzo e fino al 40% per gli anni successivi al settimo.
La quantificazione del danno deve essere compiuta dal Giudice secondo equità, così come disposto dall’art. 2056 del codice civile: egli colma tale discrezione, tenendo conto dell’esito del processo in cui si è verificata la violazione, della complessità del caso (valore e rilevanza della causa), dell’oggetto del procedimento, della natura degli interessi coinvolti, nonché del comportamento delle parti e di ogni altro soggetto chiamato a concorrere nel procedimento o che abbia contribuito alla sua definizione.
Nel caso del danno non patrimoniale, sempre ai sensi del codice civile, il Giudice può prevedere una somma di denaro, tanto quanto un’adeguata forma di pubblicità della dichiarazione dell’avvenuta violazione.
La presunzione di insussistenza del danno
Vigono alcune ipotesi di presunzione di insussistenza del danno, che obbligano la parte che intende ottenere l’equo indennizzo a dimostrare il pregiudizio subito. Si pensi, ad esempio, ai casi di irrisorietà della pretesa o del valore della causa. Nel contempo, in taluni casi, la possibilità di indennizzo è preclusa del tutto, ad esempio in favore della parte soccombente condannata per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. (relativo alla cd. lite temeraria) o quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta formulata dal mediatore nel corso del procedimento di mediazione.
In ogni caso si presume insussistente il danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto.
Applicazione della legge Pinto: le modifiche del 2016
Nell’introdurre il presente articolo s’è fatto cenno alle modifiche intervenute nel 2016. Queste hanno riguardato l’ambito di applicazione della legge Pinto: essa può applicarsi, a pena di inammissibilità della domanda, solo dopo aver esperito i cd. “rimedi preventivi”.
I rimedi preventivi
Tali rimedi sono differenti a seconda della tipologia di processo che si contesta. In particolare, nel processo civile il rimedio preventivo è rappresentato dalla proposizione del giudizio con rito sommario o dalla richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario fatta entro l’udienza di trattazione e, in ogni caso, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i tre anni del primo grado di giudizio.
Come interviene lo Studio Legale Merlini e Associati
Lo Studio:
- valutata la sussistenza dei presupposti giuridici
- gestisce le richiesta di equa riparazione in tutto il territorio nazionale, con la modalità prevista dalla normativa di riferimento, ovvero con ricorso al presidente della corte d’appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.
Per concludere, si specifica che tale ricorso può presentarsi in pendenza del giudizio tardante od al suo termine, purché non siano trascorsi oltre sei mesi dal momento in cui è divenuta definitiva la decisione con la quale il procedimento accusato di eccessiva durata si è concluso.